Il lavoro autonomo trova la sua fonte normativa nell’art. 2222 del codice civile il quale identifica il lavoratore autonomo nella persona che “ si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”.
Gli elementi che caratterizzano il lavoro autonomo e che lo contraddistinguono dal rapporto di lavoro dipendente sono essenzialmente: la mancanza di un vincolo di soggezione alle direttive del committente, la mancanza di vincoli riguardanti modalità e luogo di svolgimento della prestazione, l’utilizzo di mezzi propri, il rischio di impresa.
In generale, mentre il contratto di lavoro subordinato è disciplinato da leggi speciali volte a tutelare il lavoratore, dai contratti collettivi e, solo in via residuale, dal codice civile (art. 2094 e seguenti), il contratto di lavoro autonomo è contraddistinto dall’autonomia privata e da un’ampia “flessibilità”.
Il rapporto di lavoro autonomo così delineato si distingue altresì dai cosiddetti rapporti di “lavoro parasubordinato”. Tale tipologia di lavoro è una forma intermedia tra lavoro autonomo e lavoro subordinato ed ha trovato storicamente una definizione nell’art. 409 n.3 del codice di procedura civile (che fa riferimento ai rapporti di “collaborazione coordinata e continuativa”). Si tratta, infatti, di rapporti di lavoro che consistono in una “prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
Tra le tipologie contrattuali di lavoro parasubordinato rientrano senz’altro anche le prestazioni di lavoro occasionale, ovvero prestazioni saltuarie e di breve durata che non hanno natura di lavoro subordinato e che sono stati disciplinati dalla legge n.96/2017.
Tornando all’esame del lavoro autonomo, si può affermare che il legislatore sia raramente intervenuto a regolamentarne gli aspetti lasciando, data la natura del rapporto, ampia autonomia alle parti.
Recentemente, tuttavia, anche in conseguenza dei profondi mutamenti avvenuti nel mondo del lavoro e della maggior diffusione del fenomeno delle partite IVA, è intervenuta la legge n. 81/2017 (applicabile ai lavoratori autonomi titolari di partita IVA ed ai piccoli imprenditori ex art. 2083 c.c.) che ha inteso fornire una maggiore tutela a questo tipo di rapporti.
L’art. 3 della predetta legge, più precisamente, ha individuato una serie di “clausole e condotte abusive” nei contratti con il lavoratore autonomo dalle quali scaturisce il diritto di quest’ultimo al risarcimento dei danni. Sono considerate “abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto o, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso nonché le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento”. Inoltre, in base al comma 2 dell’art. 3, si considera abusivo “il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta”. Da segnalare, in quanto rappresentano una novità nell’ambito del lavoro autonomo, sono le previsioni di cui agli articoli 6,13 e 14 della legge in esame che, in sintesi, assicurano al lavoratore iscritto alla gestione separata INPS il diritto ad un trattamento economico per congedo parentale, per un periodo massimo di sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino. Viene poi riconosciuta l’indennità di maternità alla lavoratrice autonoma anche a prescindere dall’effettiva astensione dal lavoro nel periodo compreso tra i due mesi prima della data del parto e i tre mesi successivi al parto medesimo. L’art. 14 prevede poi che “la gravidanza, la malattia e l’infortunio del lavoratore autonomo che presta la sua attività in via continuativa per il committente non può comportare l’estinzione del rapporto di lavoro”. In questo caso il lavoratore può chiedere che il rapporto rimanga sospeso senza diritto al corrispettivo per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare.
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